Stiamo facendo colazione. Stamattina abbiamo un ospite: il mio
nipotino ha dormito da noi e sembra che ci sia aria di festa. Anzi aria di
estate, quando, liberi dagli impegni ci si sposta facilmente da casa alla
campagna, dalla casa della nonna a quella della zia o degli amichetti e così
via.
E proprio questo mi ha fatto riflettere. Pensavo al significato
dell'estate.
Cambia man mano che cresciamo. E così a rischio di sembrare una
zia un po’ strana, parlando del più e del meno, mentre insieme preparavamo delle
lasagne facili facili per il pranzo di oggi, gli ho chiesto 'ma per te che cos'è
l'estate”?
E lui subito 'non avere compiti da fare e avere tutto il tempo
libero. Libero di fare tante cose o di non fare niente'. Bellissimo.
E mi è tornato in mente questo senso di vera libertà che avevo
dimenticato. Le giornate vuote da riempire di qualsiasi cosa. Giocare per
strada o in campagna, inventandoti giochi al momento. Seduti ad una panchina a
parlare con gli amici. Gironzolare in villa al fresco degli alberi e non
soffrire manco un po’ del caldo che c'era intorno e che, anzi, aveva un senso.
Il senso della vacanza e della libertà.
Ci si sentiva quasi ubriachi per tutto questo. Non era tanto, o
forse sì lo era e non lo sapevamo, era il giusto senso del vuoto di 'cose da
fare', della mancanza della corsa tra le mille cose obbligatorie dell'inverno.
E ho capito perché da anni provo questo senso di disagio e
fastidio durante l'estate.
Noi 'grandi' abbiamo sempre questa sensazione di 'dovere' da
anteporre al 'piacere'. Se non corriamo ovunque, al lavoro, in casa, al mare,
non ci sentiamo 'produttivi'. Abbiamo perso la capacità di godere di uno stop,
dello stare fermi, seduti a...perdere tempo, che perdita di tempo non è, ma
solo un recupero di un ritmo più vero e umano.
Vorrei tornare ai pomeriggi con le sedie fuori dalle case, dove
chi passava si fermava prima a salutare, poi a fare una battuta e poi a parlare
a lungo. E poi passava un altro e si diceva un pettegolezzo, una barzelletta o
due chiacchiere così... E si aspettava l'estate anche per questo. Per 'uscire'
e aspettare il tramonto fuori, all'aperto.
E poi per cena bastava un gelato, una frisella e ci si godeva il
fresco della sera con l'aria calma che ti ritemprava. Erano belle anche le
notti calde, quando si dormiva sul balcone, all'aperto, sotto le stesse, con il
materassino del mare per terra e basta. O si rinfrescava il pavimento con
secchi d'acqua fresca e ci si sedeva a terra a giocare alle 5 pietre.
Ora?
Si continuano le attività dell'inverno, soffrendo e bestemmiando
il caldo, rosicando per le immagini di mare cristallino di chi sta ogni giorno
in ammollo, aggrappati ad un vittimismo del 'e io perché no?', dimenticando che
il segreto sta proprio nel godere delle prime ore del giorno o delle ultime
della notte, quando il caldo perde la sua capacità di ottundere la mente, di
trovare nel ritmo lento il proprio ritmo mentale, nello spegnere internet e
chiamare un amico solo per mangiare nel balcone una fetta di anguria.
Ecco, facciamo che ricominciamo da qui.
Dal tornare al senso dell'estate della nostra infanzia.
Siamo ancora bambini dentro, da qualche parte.