Quello che oggi scrivo ha il sapore agrodolce. Ed è una riflessione. Non una ricetta.
Sono rientrata da poco da Roma e ho trovato ad attendermi grandi entusiasmi per il mio ritorno. Amiche che, nonostante non ci si veda per giorni e a volte mesi, hanno sentito la mia mancanza, dicendo che ‘almeno sapevamo che eri qui, raggiungibile, e che al primo accenno sarebbe stato facile vedersi’. E, chi vedendo di nuovo la mia macchina in giro, chi sapeva già che sarei tornata, chi aveva già chiamato prima per fissare un caffè,… ho raccolto qui e la abbracci e scambiato racconti e progetti di vita. E così, davanti ad un tavolo, sigaretta e caffè e pranzo già avviato che bolle, sedute in macchina come da ragazze, alla luce di un lampione di strada, o in campagna, in mezzo alle cicorielle, siamo tornate a regalarci parole piene di storie passate, delusioni subite e speranze in un imminente cambiamento. E, in un solo giorno, ho raccolto, non solo sorrisi e gioia, ma anche storie malinconiche di donne.
E, carica di questo tesoro di confidenze sono tornata a casa.
Saranno parole banali quelle che dirò, lo so. Ma non c’è latitudine di questo mondo, ne data sul calendario, in questa infinita linea del tempo, che non continui a raccontare sempre e ‘banalmente’ la stessa storia. Storie di donne che hanno donato sempre TUTTO il loro tempo e le proprie energie per accudire marito e figli, che a lungo andare hanno ritenuto OVVIO e NORMALE il loro dono. Le loro parole, i loro desideri, le loro delusioni, non hanno mai trovato orecchie attente o voglia di essere capite e hanno generato muri in cui si sono lentamente ritirate e isolate, perdendo ogni voglia di riprovarci, tanto…. a che serve? Le poche che hanno avuto il coraggio di andare via hanno ricevuto in cambio solo incomprensione anche dalle proprie madri, urla e strepiti dai propri ex che continuavano a non capire, che le hanno guardate, stupiti, come delle poco di buono, che rivendicavano un proprio spazio, per poi trovare subito ‘un’altra’ ‘in sostituzione di’, dopo di che si sono calmati un pò, ‘mollando figli e cani’, per sistemarsi in una nuova divertente vita.
Diverse sono le storie, qui senza nome, ma in cui potrebbero ritrovarsi tutte. Una che parla di un marito ‘addormentato’, incrociato solo a colazione, a cui si fanno trovare pronte camicie pulite e calzini, e che si saluta, senza manco più un bacio, per ritrovarsi di sfuggita di sera, troppo stanchi anche per parlare. E di che poi? ‘cosa ne capisce lei dei problemi di lavoro di lui?’. L’ha lasciato, dopo anni di riflessioni dolorose fatte in silenzio, lui ha detto ‘capisco’, ha accettato, tempo un mese e nella sua vita (di lui!) è entrata una nuova donna che non permette più alla prima di ‘accostarsi’ all’ex. Nessun tentativo di riprovarci, niente, solo tanta ‘comprensione’ e una semplice parola ‘fine’.
La seconda. Donna meravigliosa, considerata da sempre una stupida da un marito farfallone. Stupito e addirittura scandalizzato dalla richiesta di considerazione, o zittita in malo modo ‘tanto cosa capisci tu’, dopo una sua opinione molto apprezzata. Se ci provi a mollarlo diventa violento e allora che fai? aspetti che i figli crescano, magari vadano via…. e poi si vedrà.
Donne mollate anche dai propri genitori, che spesso parteggiano per quel genero tanto bravo, che porta i soldi a casa, e che non ti fa mancare niente. Hai una bella casa, dei figli, perchè vuoi andare a lavorare? la laurea che hai serve a te, per una ricchezza interiore, di cosa ti lamenti? Come? vuoi andare via? cambiare città? casa? ma perchèèè? perchè???’ Cosa ti manca???
E’ la solita vecchia storia di donne che, nonostante le minigonne, i cortei, l’apparente autonomia conquistata con un lavoro, ricadono negli stessi errori. Si fidano e si infilano in matrimoni che diventeranno la solita vecchia prigione, gestita dall’egoismo di un uomo. . .
Meno male che almeno tra donne si apre il proprio cuore e ci si regala uno sfogo che ha il potere di un balsamo. Ci si sente capite e magari anche spinte a scappare via…..
Che strano…. scrivevo questi testi al liceo, tanto che il mio professore all’ultimo tema del quinto, la cui traccia parlava di problemi del terzo mondo, mi scrisse un giudizio che ricordo ancora ‘ Anna, ho capito che la condizione femminile e le ingiustizie ti appassionano, ma non puoi continuare a fare per cinque anni di liceo, per ogni tema, un giro di parole per parlarne sempre…. Tanto giri e tanto volti che sempre li arrivi. L’ho capito, ora vai oltre’.
Ma, caro amato professore, come possiamo andare oltre, se ancora ascoltiamo storie come quelle che ho raccontato?…..
E ne è passato di tempo….